La tecnologia è parte integrante della società, come dimostrato dalla forte crescita di strumenti e dispositivi sempre più connessi tra loro: vista la propagazione della quarta rivoluzione industriale, al mutamento attuale delle attività, avrà presto un definitivo impatto sulle occupazioni del futuro, comportando non poche preoccupazioni per la tutela della privacy e, in generale, dei diritti fondamentali. Bisogna dunque comprendere la rivoluzione in atto, prendendo atto dei benefici prevedibili e dei rischi da affrontare, ma soprattutto, bisogna avere piena coscienza degli strumenti che ormai ne fanno parte.

Le intelligenze artificiali sono ormai ad un punto di svolta, e gli algoritmi che le governano sono finalizzati alla risoluzione di nuovi problemi. Sergio Romoli, direttore della Divisione Cloud & Enterprise di Microsoft Italia, ha recentemente affermato che “Oggi l’AI funziona come una raffineria, trasformando il petrolio in benzina. Quella benzina va poi a finire nell’azienda in modo che funzioni al meglio. Inutile dire che sarà questa la professione del futuro”.

Cresce così il bisogno di assicurare che il progresso tecnologico si sviluppi, mantenendo un equilibrio tra le esigenze di tutela sia individuali che collettive e le nuove tecnologie, garantendo la salvaguardia dei diritti fondamentali. L’evoluzione delle tecnologie caratterizzate da sistemi AI, ha dato vita ad un dibattito in merito alle principali questioni sociali e giuridiche ed alle conseguenze connesse al loro impiego. È infatti evidente come il pilastro della nuova società non sia più l’informazione, cioè la conoscenza del dato, ma l’algoritmo, ovvero la capacità di elaborare il dato in maniera più veloce ed accurata possibile. In tale contesto l’intelligenza artificiale sta ormai provocando un chiaro bisogno di riadattamento dei tradizionali sistemi, ad un nuovo modello universale, governato dall’automazione.

L’introduzione delle tecnologie AI nel settore della giustizia è una materia da trattare con particolare attenzione, rispondendo in primo luogo alla necessità di non ridurre a mero calcolo un’attività in cui il libero convincimento del giudice rimane il fattore essenziale.

Da un punto di vista operativo, gli algoritmi potrebbero quindi stimare il più probabile esito giudiziario di una precisa controversia, alla luce della giurisprudenza che nel tempo si è pronunciata, identificandosi come strumenti di ausilio nella scelta del giudice: si tratta di un compito ben diverso dall’uso degli algoritmi nella pronuncia giurisdizionale.

Tale era la funzione ultima dell’Intelligenza Artificiale enunciata nella Carta etica sull’uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari e nel loro ambiente del 2018, dove la Commissione europea si è espressa circa la necessità di congiungere l’integrazione del processo giudiziale dei modelli statistico-matematici con le tutele previste dal giusto processo. Ad oggi, non si vuole del tutto precludere l’ingresso delle AI nel campo della giustizia, ma certamente va delimitato il suo utilizzo in nome dell’irrinunciabile incertezza del diritto. Nei prossimi giorni approfondiremo i contenuti del nuovo regolamento dell’UE sull’Intelligenza Artificiale, per capire come questo si inserisce nella grande strategia di Bruxelles di creare uno spazio europeo in cui i diritti digitali possano essere di esempio al mondo intero.