Recentemente sono molti gli autori che stanno indagando l’impatto dell’intelligenza artificiale sull’arte.

Per capirne meglio la portata, va in primo luogo definita la c.d. Intelligenza Artificiale generativa, o Generative AI come una tecnologia dirompente in grado di generare artefatti che in precedenza si basavano sulla creatività dell’uomo, garantendo risultati innovativi privi di quei pregiudizi tipici dell’esperienza umana e dei suoi processi di pensiero. Pertanto, come osservato nel recente approfondimento di La Trofa, la Generative AI comprende “una varietà di tecnologie che consentono a un sistema di apprendimento automatico, opportunamente allenato grazie a un sistema di data set tematici, di creare contenuti artificiali e dati sintetici di varia natura.

Nell’ambito della Generative AI, le tecnologie più rappresentative sono le GAN (Generative Adversarial Networks), utilizzate per la creazione di contenuti audio o video in grado di sostituirsi in maniera molto accurata all’originale reale (e diventate note perché usate nella creazione dei c.d. deepfake); ad esempio, per la sostituzione di un volto in un video, perfettamente coerente con la sua animazione facciale, o la creazione di un audio falso con voce identica a quella del soggetto che si intende imitare.

Un interessante utilizzo delle GAN riguarda restauro virtuale delle opere d’arte che presentano delle significative lacune, al fine di restituire con elevate probabilità di coerenza la loro figurazione originale. In questo caso, il sistema è allenato mediante un data set mirato su tutte le variabili dell’artista in questione, per consentire alla AI di reinterpretare digitalmente – nel caso di opere pittoriche – la sua pennellata e ricostruire la simulazione del contenuto mancante sull’opera originale.

Tuttavia, l’utilizzo più suggestivo, e ad oggi poco noto, della Generative AI è nelle arti visive, in cui i creatori/artisti si avvalgono di tecniche algoritmiche per dare vita ad immagini sintetiche derivate a parte da un data set tematico.

È bene precisare che per “arte creata con l’AI” deve intendersi quella produzione artistica in cui almeno una fase della creazione sfugge alla volontà dell’artista ed è completamente delegata all’Intelligenza Artificiale. Questo la distingue dalla c.d. computer o digital art, in cui invece software e hardware sono un mezzo impiegato dall’artista per la propria creazione, e che quindi costituisce un utilizzo strumentale della tecnologia, al pari degli esempi più sopra riportati.

Un recente esempio di arte creata con l’A.I. è rappresentato dalla mostra “Re-coding” di Quayola (al secolo Davide Quagliola, artista romano di nascita ma londinese d’adozione) presso Palazzo Cipolla a Roma.

Antonella Brandonisio, rispetto alla mostra dell’artista citato, non solo conferma la definizione di arte creata con l’AI, Quanto si legge in un interessante articolo sulla mostra[1] conferma la definizione di arte creata con l’A.I., ma aggiunge: “In questa prospettiva, la tecnologia diventa un’opportunità per scoprire nuovi linguaggi. Come spesso dichiarato dall’artista, la tecnologia più che ‘il pennello’ dell’artista e dunque un mezzo per sviluppare idee già chiare, ‘umane’, è un’entità con cui relazionarsi alla pari, come un ‘collaboratore’, per generare idee nuove. Si parla appunto di ‘tecnologia generativa’. (…)

Utilizzando sistemi di robotica, Intelligenza Artificiale (AI) e software generativi, Quayola trasforma la tecnologia computazionale in una nuova tavolozza. Dipinti rinascimentali e del barocco mutano in complesse composizioni digitali, e sculture ispirate alla tecnica michelangiolesca sono scolpite mediante mezzi robotici.

In conclusione, appaiono affascinanti quanto condivisibili le considerazioni finali della commentatrice:

Chi è abituato a concepire la tecnologia come qualcosa di asettico e disumanizzato rimarrà sorpreso: qui l’intelligenza artificiale si mette al servizio dell’uomo, offrendo all’artista ed ai suoi fruitori nuovi strumenti per esplorare l’ineffabile mistero del fare arte.

La tecnologia diventa una nuova forma espressiva, per realizzare nuovi mondi visionari, in cui le definizioni si perdono nel confronto tra ciò che conosciamo e ciò che potremmo imparare a conoscere.

E, si badi, essa non si sostituisce all’uomo. Perché dietro la creazione di un’immagine, di un oggetto destinato a un’esperienza umana e, dunque, a generare un impatto emotivo, rimane imprescindibile la scelta dell’artista che ha a che fare con l’inspiegabile, con il non programmabile, con l’umano appunto.

[1] Antonella BRANDONISIO, Il codice Quayola: scoprire nuovi linguaggi e nuove estetiche attraverso l’intelligenza artificiale, pubblicato in italiani.net e reperibile al link www.italiani.net/2022/01/12/il-codice-quayola-scoprire-nuovi-linguaggi-e-nuove-estetiche-attraverso-lintelligenza-artificiale/.