Nell’attuale scenario caratterizzato da una pervasiva digitalizzazione dei rapporti sociali, economici e istituzionali, il ruolo delle Autorità nazionali preposte alla protezione dei dati personali si configura come uno degli elementi cardine per la salvaguardia dei diritti fondamentali e, più in generale, per la tenuta delle democrazie europee. La crescente centralità delle informazioni, e la loro continua circolazione nei processi decisionali pubblici e privati, attribuiscono infatti al Garante per la protezione dei dati un mandato non solo tecnico, ma anche profondamente istituzionale. In questo quadro, l’indipendenza dell’Autorità non rappresenta un mero requisito formale, bensì una condizione sostanziale per assicurare un sistema di controllo realmente autonomo e impermeabile a pressioni politiche o economiche.

Il GDPR, all’articolo 52, stabilisce con chiarezza che le autorità di controllo debbano esercitare i propri poteri in piena indipendenza. Si tratta di un principio che costituisce il fulcro dell’intero modello europeo di tutela dei dati personali, poiché garantisce che la vigilanza su soggetti pubblici e privati avvenga in un clima di neutralità e terzietà. Tuttavia, come dimostra la prassi applicativa, l’autonomia normativa non è sufficiente: essa richiede forme di garanzia ulteriori, sia procedurali sia organizzative, affinché la credibilità dell’Autorità sia preservata in modo stabile nel tempo e soprattutto durante eventuali momenti di tensione o di crisi reputazionale.

In tale prospettiva, il Regolamento UE 2018/1725 offre un modello particolarmente avanzato. Esso prevede che il Garante europeo per la protezione dei dati possa essere rimosso esclusivamente dalla Corte di giustizia e soltanto su richiesta congiunta del Parlamento, del Consiglio o della Commissione, in caso di colpa grave o perdita dei requisiti necessari. Questo meccanismo garantisce un equilibrio virtuoso tra autonomia funzionale e responsabilità, e costituisce un possibile riferimento per le Autorità nazionali, comprese quelle italiane.

L’ordinamento italiano ha recepito i principi del GDPR affidando al Parlamento la nomina dei quattro componenti del Collegio del Garante e introducendo un rigido sistema di incompatibilità, volto a evitare conflitti di interesse. Nonostante ciò, l’esperienza recente ha mostrato come la solidità formale delle norme non basti a prevenire criticità interne. Per rafforzare la resilienza istituzionale del Garante italiano, sono state individuate tre direttrici di riforma: una procedura di nomina più trasparente e pluralista, un sistema di rimozione più rigoroso e terzo, e un potenziamento degli strumenti di autoregolazione interna.

L’adozione di maggioranze qualificate o l’intervento del Presidente della Repubblica potrebbero rendere il processo di nomina meno vulnerabile a logiche di parte. Quanto alla rimozione, un modello ispirato a quello dell’EDPS assicurerebbe terzietà e limiterebbe l’uso strumentale di tali procedure e sul piano interno, l’attivazione di un Comitato etico, la piena operatività del controllo interno e l’uso responsabile dei canali di whistleblowing previsti dal d.lgs. 24/2023 rafforzerebbero la capacità dell’Autorità di prevenire conflitti e di gestire le criticità in modo trasparente.

In conclusione, l’indipendenza delle Autorità privacy deve essere intesa come un patrimonio collettivo e una garanzia per l’intera comunità democratica. L’esperienza italiana dimostra che, in assenza di meccanismi istituzionali solidi e di una cultura della responsabilità condivisa, anche l’apparato normativo più avanzato può rivelarsi insufficiente. Per questo è necessario un intervento riformatore lungimirante, capace di consolidare l’autonomia del Garante e di prevenire future tensioni, in linea con gli standard europei e con le aspettative di una società sempre più esposta ai rischi connessi all’uso dei dati personali.