La strategia europea di costituire un nuovo standard di diritti dei dati e del digitale trova nuove conferme anche dalle sentenze emesse dai tribunali nazionali. In particolare questa volta è il nostro paese ad esprimersi in maniera negativa nei confronti di Google, con la sentenza del 24 gennaio 2020 del Tribunale di Milano in materia di deindicizzazione tardiva. 

Il Tribunale meneghino, infatti, ha espressamente dichiarato che Google LLC deve “de indicare” alcuni siti Internet al cui interno sono presenti informazioni false e contenuti diffamatori relativi ad un richiedente, oltre a dover corrispondere un risarcimento per danni non economici subiti a causa del ritardo nel deindicizzare le informazioni in questione. 

Il ricorrente aveva presentato nel 2011 un reclamo contro un soggetto terzo che diffondeva informazioni online false, aventi contenuto diffamatorio, e poi nel 2017 aveva chiesto a Google di eliminare tutti gli URL contenenti le informazioni diffamatorieuna “semplice” attivazione del diritto all’oblio, ma Google non aveva soddisfatto il ricorrente, che quindi decideva di rivolgersi al Tribunale di Milano. 

Nel caso di specie, il richiedente ha chiesto al tribunale di sospendere il trattamento illecito dei suoi dati personali da parte di Google e di adottare le misure che si potevano ritenere necessarie, al fine di prevenire la persistenza dei danni attinenti alla sua sfera della privacy. 

Google aveva affermato che, in qualità di fornitore di hosting, ai sensi della direttiva sul commercio elettronico dell’UE, non era responsabile del contenuto delle notizie pubblicate sui siti, visualizzate a seguito di una ricercache quindi non alla cancellazione dei dati personali, che sorge solo in caso di trattamento illecito. 

La Corte, in questo caso, ha dissentito, sostenendo che quando Google agisce come fornitore di hosting nella fornitura del servizio di ricerca Web di Google, gestisce enormi sistemi di archiviazione, considerando la possibilità di una visualizzazione dei contenuti organizzata secondo i parametri scelti da Google stesso, il tutto coperto da segreto commerciale. 

Nello svolgimento di questa attività, Google ha il ruolo di titolare del trattamento autonomo nel trattamento dei dati personali dell’interessato, per cui  rimane in capo all’azienda stessa una responsabilità extracontrattuale per qualsiasi risultato dannoso determinato dal meccanismo di funzionamento del sistema di ricerca.  

In conclusione, dunque, Corte ha dichiarato Google responsabile per il trattamento illecito dei dati personali del richiedente, nel caso di specie, a seguito della mancata deindicizzazione dei risultati della ricerca dopo aver ricevuto una esplicita richiesta di esercizio del diritto all’oblioLa gestione di una corretta politica di conservazione dei dati, possiamo affermare, che sia oggi la più grande preoccupazione per la maggioranza delle aziende.  

La sentenza è rilevante, ponendo su motori di ricerca ed entità che elaborano dati di soggetti terzi oneri molto pesanti, considerato che ogni cancellazione tardiva potrebbe portare ad una legittima richiesta di risarcimento danni, anche nel caso in cui i dati debbano essere cancellati perché spirato il termine di conservazione rilevante.