Le lotte al coronavirus, ormai da molti mesi, operano a livello mondiale su tutti i fronti: tecnologico, medico, geografico, geopolitico etc.

Quando si combatte una guerra, si vuol sapere il più possibile sul nemico, malgrado questa volta si tratti di un “male invisibile”.

La via più semplice risulta ad oggi mettere in atto strumenti di sorveglianza sempre più efficaci, una strada intrapresa da numerosi stati.

In Cina, i droni cercano persone senza maschera facciale; Germania, Austria, Italia e Belgio utilizzano tutti i dati, per ora in anonimo, delle principali società di telecomunicazioni per tracciare il movimento delle persone.

In Israele, l’agenzia di sicurezza nazionale è autorizzata ad accedere ai registri telefonici delle persone infette e la Corea del Sud invia messaggi al pubblico identificando le persone potenzialmente infette e condividendo informazioni su dove sono stati.

È difficile, in un momento storico come questo, proteggere la privacy delle persone che sono state infettate da Covid-19, pur informando utilmente coloro che sono stati messi a rischio, operando un bilanciamento “virtuoso” con l’imprescindibile necessità della salute pubblica.

A questo riguardo, il presidente dell’European Data Protection Board (“EDPB”) ha recentemente fornito una dichiarazione sul trattamento dei dati personali nel contesto dell’epidemia di Covid-19.

In sintesi, l’EDPB ha confermato che i datori di lavoro saranno in grado di elaborare informazioni personali nel contesto di pandemie come Covid-19, a condizione che possano fare affidamento su fondamenti giuridici adeguati quali motivi di interesse pubblico per la salute pubblica o per proteggere interessi.

Ai sensi del GDPR, le informazioni sulla salute sono una “categoria speciale di dati personali”, che necessita però un livello elevato di protezione.

Durante una crisi straordinaria come questa, molti governi sono disposti a trascurare le implicazioni sulla privacy nel tentativo di salvare vite umane.

Tuttavia, i dati sensibili che vengono raccolti non sono esclusivi delle organizzazioni e dei governi della sanità pubblica. I dati sensibili sono inoltre accessibili dalle società che si occupano di tecnologia della sorveglianza e dagli sviluppatori di app mobili.

In circostanze normali, le cartelle cliniche sensibili collegate al paziente possono e devono essere mantenute private. Far entrare questi dati nella disponibilità a società private, anche nell’interesse della salute pubblica, è fonte di preoccupazione, in quanto tali informazioni possiedono un valore commerciale significativo.

Potrebbero, ad esempio, fornire alle agenzie pubblicitarie dati di targeting preziosi per le aziende sanitarie e farmaceutiche. Potrebbero anche aiutare a informare il processo decisionale degli assicuratori sanitari che cercano di verificare la storia medica durante l’elaborazione di nuove polizze.

Per quanto la sorveglianza possa sembrare un modo intelligente per combattere la pandemia, i programmi che si utilizzano per accedere alle informazioni protette dei cittadini al fine di proteggere la popolazione, devono essere progettati in maniera accorta.

Esiste un rischio profondo che questi tipi di sistemi di intelligenza artificiale rispecchino i pregiudizi dei loro progettisti umani, come già accaduto con altre AI in ambito giuridico ed economico.

Senza considerare il fatto che, una volta terminato il periodo di contagio, questi strumenti di sorveglianza d’emergenza potrebbero essere facilmente utilizzati per altri scopi, rendendo la sorveglianza orwelliana una parte permanente della vita.