L’Italia costituisce davvero la prima “piattaforma di test di pandemia” scoppiata in un Paese democratico.

Se è vero infatti che in Cina è stato possibile arginare la diffusione dello stesso grazie anche ad un regime autoritario e, conseguentemente, ad una gestione autoritaria dell’epidemia, è altrettanto vero che l’Italia rappresenta il primo paese democratico che si trova a scontrarsi con una pandemia di questa portata.

E questa evidenza costituisce, ad avviso di chi scrive, uno snodo fondamentale per l’Italia: tutti gli altri Paesi europei guardano a noi come un modello, come il primo paese democratico che si è trovato a fronteggiare una tale emergenza.

Nello scorso articolo la nostra attenzione è stata posta sulle modalità attraverso le quali si è attuata una reale interazione tra l’AI (acronimo inglese per Artificial Intelligence) e il Covid 19. L’AI ha effettivamente svolto e sta svolgendo ancora e soprattutto oggi un ruolo importante e decisivo nella lotta al Covid 19.

Come già rilevato è pacifico che in Cina- a Wuhan- ci sia stato un utilizzo massiccio e “invasivo” degli strumenti messi a disposizione dell’Ai per arginare la diffusione del virus; e, stando agli attuali dati, sembra chiaro che il match sia stato, almeno per il momento, chiaramente vinto dall’”Ai”.

Ma, come accennato sopra, la Cina ha attuato una gestione autoritaria della problematica tale da rendere molto più semplice la mancata tutela di quelle libertà fondamentali contro le quali l’Ai è andata ovviamente a scontrarsi.

Come può attuarsi, invece, un processo similare in Italia? Come può un Paese democratico confrontarsi con tali strumenti arrivando a comprimere in modo sostanziale quella tutela delle libertà personali e fondamentali?

La premessa assolutamente indispensabile e che deve fornire una via maestra è quella di avere ben chiaro che in tale situazione non c’è in gioco la democrazia del nostro Paese, bensì, la nostra salute sia come singoli che come collettività.

Se è vero infatti che alcune di queste libertà sono state progressivamente ridotte- basti pensare a quella di circolazione, a quella di soggiorno, alle libertà religiose etc- è altrettanto vero che tale limitazione è avvenuta secondo i principi di massima precauzione, adeguatezza e proporzionalità e proprio per tale motivo, conseguentemente, sono state adottate misure contenitive in modo graduale.

Ancora una volta la nostra eccelsa Carta costituzionale ci consegna tutti gli strumenti utili per poterci muovere in questa angusta situazione.

Ma cosa succede quando in ballo c’è la privacy, il nostro diritto alla riservatezza e la tutela dei nostri dati sensibili che potrebbero essere minati dall’applicazione degli strumenti dell’Ai?

Nonostante sembri che il numero dei contagi e dei decessi stia lentamente ma fiduciosamente diminuendo, lo Stato sta approntando e mettendo in campo alcuni degli strumenti messi a disposizione dall’Ai.

Nel fare ciò si guarda soprattutto all’esperienza della Corea del Sud che, in pochi giorni, è riuscita a piegare verso il basso la curva esponenziale dei contagi: ognuno dei quasi 9 mila risultati positivi al tampone è stato “spiato” dalle autorità sanitarie attraverso le cartelle mediche, il gps dello smartphone, le carte di credito, le telecamere di sorveglianza. Incrociando poi tutte queste informazioni sono state rintracciate le persone che potevano essere entrate in contatto con Covid 19 e sono state isolate.

In Italia si inizia a seguire tale schema: già dallo scorso articolo era stato messo in evidenza l’utilizzo che si iniziava a fare delle celle telefoniche per poter capire gli spostamenti dei soggetti.

Ad oggi iniziano a farsi strada delle apps che sono in grado di ricostruire la rete di persone venute eventualmente a contatto con persone affette da Covid-19 e predisporne conseguentemente l’isolamento.

Altra notizia delle ultime ore è che sembrerebbe esserci un’apertura anche all’utilizzo di droni che siano in grado di sorvegliare la città e di prevenire quindi eventuali spostamenti non autorizzati.

Non è dato sapere, ad oggi, se e come tali strumenti funzioneranno, se saranno in grado di coadiuvare il rallentamento dell’epidemia o se verranno approntati altri metodi di fronteggiamento dell’emergenza.

Quello che è certo è che è evidente che tutte queste misure stanno comportando e comporteranno una reale compressione di alcuni diritti fondamentali ma, come ci suggerisce il Professor Gustavo Zagrebelsky, “per ora mi paiono misure a favore della più democratica delle libertà: libertà dalla malattia e dalla morte”.

 

Leggi tutti gli articoli della rubrica