Da qualche tempo sulla piattaforma Netflix è disponibile il film-documentario The Great Hack, che tratta in maniera non banale un caso di recentissima attualità come quello di Cambridge Analytica e che aiuta a far luce su una serie di questioni inerenti i dati e la continua, e spesso inconsapevole, circolazione di questi dal web agli archivi di società che poi li utilizzano per scopo di lucro.

Il documentario inizialmente presenta il personaggio di David Carroll, un esperto di social media marketing che ha interesse a recuperare il profilo di dati della Cambridge Analytica.

Carroll spiega la propria preoccupazione nei confronti dell’effetto che le campagne di disinformazione mirate dirette a utenti specifici stanno avendo sulla democrazia globale, analizzando inoltre cosa fosse Cambridge Analytica e, a grandi linee, in che modo i suoi metodi di raccolta e analisi dei dati hanno contribuito a influenzare sia il referendum britannico sull’UE sia le elezioni presidenziali statunitensi del 2016.

La struttura aziendale di Cambridge Analytica si presenta con un’aria cospiratoria, come se la rete di foto di profilo che The Great Hack mettesse insieme rappresentasse qualcosa di molto più nefasto e misterioso della pagina del personale di un’azienda.

Nel 2015, la Cambridge Analytica, era società di consulenza politica con sede nel Regno Unito, ha iniziato a lavorare per conto della campagna di Ted Cruz per vincere la nomination repubblicana 2016.

Questa ha utilizzato Facebook come mezzo di “sorveglianza politico-elettorale” attraverso la raccolta di punti dati degli utenti.

Dopo che Cruz ha abbandonato la corsa alla nomination, Cambridge Analytica ha utilizzato le stesse strategie per aiutare la campagna presidenziale del 2016 di Donald Trump. Indagini indipendenti circa le statistiche in merito ai dati informatici, insieme ai resoconti informatori dell’impatto dell’azienda sulla Brexit, hanno portato a uno scandalo sull’influenza dei social media nelle elezioni politiche.

La Cambridge Analytica, la società responsabile dello scandalo, era dedicata ai big data: i dati raccolti dovevano essere utilizzati come parte di una strategia di vendita che prevedeva la creazione di campagne di massa che si avvicinavano agli utenti in modo personale.

I risultati di questa campagna finirono per sconvolgere la politica degli Stati Uniti e del Regno Unito e portarono a pretese di complicità delle imprese dei social media come Facebook.

La raccolta illecita di dati personali da parte di Cambridge Analytica fu segnalata per la prima volta nel dicembre 2015 da Harry Davies, giornalista di The Guardian: egli riferì che Cambridge Analytica lavorava per il senatore degli Stati Uniti, Ted Cruz, e utilizzava i dati raccolti da milioni di account Facebook di persone senza il loro consenso.

Lo scandalo raggiunse livelli alla luce dei quali persino lo stesso Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, dovette testimoniare ufficialmente di fronte a un comitato speciale degli Stati Uniti d’America.

Senza dubbio uno degli effetti dello scandalo è stato quello di rafforzare le tutele, quantomeno in Europa, dei dati personali, attraverso le norme in ambito GDPR e Data Protection.