In un recente articolo abbiamo affrontato i temi legati all’utilizzo dell’intelligenza artificiale come ausilio ai giudici (Il Machine Learning a misura d’uomo), ed ora anche in Italia inizia a diventare concreta l’adozione di questi strumenti.
A metà febbraio, all’inaugurazione dell’anno giudiziario del TAR di Torino, si è parlato di intelligenza artificiale applicata alla giustizia, con l’auspicio che nel capoluogo piemontese si passi presto ad una sperimentazione sul campo.
Già la Corte d’Appello di Brescia e il Tribunale di Genova, il secondo con l’ausilio delle competenze della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, hanno iniziato a studiare e sperimentare algoritmi in grado di analizzare le sentenze dei giudici, per ridurre il contenzioso e capire meglio le motivazioni dietro una certa decisione.
Quanto però auspicato a Torino è un vero e proprio programma che aiuti il giudice nel suo lavoro, se non in certi casi a sostituirlo del tutto: grazie al machine learning si vorrebbe allenare la macchina a trovare soluzioni, anche in ambiti delicati come quello penale.
Se da un lato il machine learning consente, come già avviene in Estonia, per citare un caso europeo, o in Cina, in cui presso la Corte di Pechino sono già in funzione diversi bot che cercano casi passati analoghi a quelli sottoposti all’attenzione dei giudici cinesi, di studiare e consentire all’uomo di svolgere il suo lavoro in maniera migliore, liberandolo da tutte quelle incombenze dispendiose in termini di tempo e fatica, non bisogna però dimenticare l’elemento prettamente umano di ogni decisione, ossia l’intuizione, il riconoscere elementi non probabilistici.
In ogni materia oggetto di giudizio infatti, e a maggior ragione quelle più delicate come il diritto penale o dei diritti fondamentali, questo elemento totalmente umano è quello che fa ancora la differenza, e che non potrà mai essere sostituito da una macchina.
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