I bitcoin sono uno strumento economico che va considerato come un effettivo prodotto finanziario ed il suo utilizzo è disciplinato dal Testo Unico sulla Finanza. Così ha stabilito la sentenza n. 26807 del 25 settembre 2020 della Corte di Cassazione, che porta chiarezza nel campo delle criptovalute, fino ad oggi caratterizzato da una regolamentazione lacunosa che ha favorito numerose irregolarità.

A provocare l’intervento della Suprema Corte è stato il caso di un imputato, coinvolto in una più ampia attività di truffa, accusato di aver incoraggiato l’acquisto di Bitcoin attraverso il suo sito web, vendendo la criptovaluta tramite una piattaforma internazionale volta all’incontro di domanda e offerta. Il pubblico ministero quindi accusava il soggetto di vendere prodotti finanziari senza esserne abilitato, e il Tribunale del Riesame di Milano ravvisava la fondatezza delle accuse, condannando l’imputato.

La difesa ricorreva dinanzi alla Suprema Corte sostenendo che le valute virtuali non dovevano essere considerate alla stregua di prodotti di investimento, ma quali mezzo di pagamento – sposando peraltro una interpretazione abbastanza consolidata della giurisprudenza europea –, e per tale motivo sottratte all’applicazione della normativa in materia di strumenti finanziari.

Secondo gli Ermellini, invece, nel caso di specie la vendita di bitcoin veniva reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento, tanto che nel sito in cui veniva pubblicizzata la vendita si davano informazioni idonee a consentire una effettiva valutazione di adesione dei risparmiatori all’iniziativa, con messaggi quali “chi ha scommesso in bitcoin ha guadagnato più del 97% in due anni”. Per questo motivo l’attività deve considerarsi di natura finanziaria e le criptovalute dei prodotti di investimento, pertanto sia la prima che i secondi devono considerarsi soggetti agli adempimenti previsti dal TUF in materia di intermediazione finanziaria, la cui omissione integra il reato di abusivismo finanziario ex art 166 TUF.

È interessante notare che per la prima volta il bitcoin è stato giuridicamente definito come prodotto finanziario, anche se non c’è unanimità di visione su questo punto. Infatti, l’Agenzia delle Entrate considera i bitcoin quali beni su cui pagare le plusvalenze, la Consob quali prodotti finanziari, e la CGUE quali mezzi di pagamento.

Anche per questa pluralità di visioni occorre interrogarsi sull’effettiva portata della sentenza: non è possibile infatti stabilire che le criptovalute siano per loro natura esclusivamente dei prodotti finanziari. Quello che ha rilevanza, infatti, è l’attività in cui sono coinvolte.

Nel nostro paese, infatti, la normativa per lo svolgimento di attività di vendita dei virtual asset services providers prevede esclusivamente la comunicazione di inizio attività al MEF, a cui segue l’inclusione in una sezione speciale del registro dedicato ai rivenditori di prodotti finanziari. Pertanto, non essendoci alcun obbligo di possedere una autorizzazione della Consob, non è chiaro come si possa essere puniti per la mancanza di licenza fornita dall’organismo medesimo.

Un aspetto che sicuramente ha avuto peso nella decisione della Cassazione è stata la tipologia di messaggi veicolati nel sito, volti a sollecitare in maniera distorta l’investimento da parte degli utenti. Sembrerebbe infatti che proprio questi messaggi possano essere indicatori di una attività sanzionata come abusiva.

La poca giurisprudenza di merito esistente a livello nazionale non delinea un orientamento consolidato, e quindi non può essere affermato che in ogni caso le criptovalute debbano essere considerate primariamente quali strumenti finanziari, tuttavia emerge che possano essere considerate come tali alla luce delle attività in cui sono coinvolte.

È evidente che la Cassazione fornisce un’interpretazione storica in una materia molto controversa, tuttavia non si può trarre un principio inamovibile sull’applicabilità in ogni caso del reato di cui all’art 166 TUF a ogni caso di compravendita digitale, anche considerando che in Italia non è prevista alcuna autorizzazione per i fornitori di servizi di compravendita di criptovalute

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