La salute, la sicurezza e il benessere degli studenti e del personale sono una priorità assoluta in questi giorni di emergenza sanitaria, in cui in molti seguono da casa le lezioni scolastiche (DAD, Didattica a Distanza).
Per quasi metà dello scorso anno scolastico, infatti, il virus ha costretto milioni di insegnanti e studenti ad utilizzare la didattica in a distanza per svolgere le attività scolastiche, e questo dovrebbe aver preparato gli utenti alle innovazioni tecnologiche che li accompagneranno nei prossimi mesi. Tra queste vi sono senza dubbio le ormai familiari applicazioni per videoconferenze, così come quelle per la condivisione di schermi e contenuti in tempo reale, tuttavia alcune di queste applicazioni possono essere paragonate a dei veri e propri prodotti per la sorveglianza.

Soprattutto oltre oceano infatti si stanno affacciando sul mercato prodotti tecnologici ritenuti particolarmente invasivi della privacy, che “osservano” gli studenti mentre fanno i test o completano i compiti, che consentono un vero e proprio controllo dell’ambiente in cui si trova uno studente anche durante l’apprendimento a distanza.

Attraverso una serie di tecniche di monitoraggio invasive, le App di cui discutiamo sono programmate per determinare se uno studente sta eseguendo il proprio dovere oppure no, mediante l’utilizzo di sequenze di tasti registrate e il riconoscimento facciale; alcune sono programmate per eseguire attività di eye-tracking e verificare che gli studenti non guardino troppo a lungo fuori dallo schermo; altre invece registrano l’ambiente in cui gli studenti stanno svolgendo determinate attività mediante i microfoni e le telecamere integrate degli devices, trasmettendo le registrazioni ad un sorvegliante che deve assicurarsi che nessun altro sia presente nella stanza.

Si tratta dunque di una sorveglianza biometrica di massa forzata di potenzialmente milioni di studenti, il cui successo sarà determinato non da risposte corrette, ma da algoritmi che decidono se o non il loro livello di “sospetto” è troppo elevato.

Questa tecnologia non si discosta molto degli spyware, ossia malware comunemente utilizzati per tenere traccia delle azioni degli utenti ignari sui propri dispositivi e su Internet ed ha anche molto in comune con i bossware, software invasivi per il monitoraggio del tempo e della produttività dei lavoratori, di cui si è parlato durante la pandemia.

Oltre alla raccolta invasiva di dati biometrici, i servizi di sorveglianza raccolgono e conservano informazioni di identificazione personale degli studenti, sia attraverso le scuole di provenienza che tramite la registrazione di dati per accedere ad un account (richiedono il nome completo, la data di nascita, l’indirizzo, il numero di telefono, scansioni di documenti di identità rilasciati dal governo ed i numeri di ID degli studenti).

È evidente che la privacy degli studenti possa essere violata, anche considerando il possibile utilizzo dei dati raccolti per scopi commerciali, senza considerare che questi strumenti di didattica a distanza, se resi obbligatori dagli istituti scolastici, potrebbero penalizzare tutti quei soggetti che non possono godere di devices aggiornati o di connessioni abbastanza performanti.

La tecnologia ha aperto opportunità senza precedenti per l’apprendimento a distanza ma oggi le scuole devono accettare di non poter avere il controllo completo dell’ambiente di uno studente quando sono a casa, né dovrebbero volerlo.