Internet è diventata la più grande fonte di informazioni, considerando il fatto che oggi esistono milioni di siti Web e i numeri di indicizzazione delle ricerche online continuano a crescere.

Gli utenti utilizzano Internet per poter accedere alle informazioni quotidianamente, il più grande archivio di conoscenze nella storia dell’umanità, così grande che “Trovare le informazioni giuste al momento giusto” è la sfida delle nuove generazioni.

La Commissione nazionale per l’informatica e le libertà (CNIL) tutela la protezione dei dati personali e in un contesto in cui il Web è passato dall’essere una rete che poteva risultare rilevante per piccoli e ben delimitabili ambiti della vita, a un fenomeno sociologico che si evolve in una panoramica a 360°.

In questa sede si analizzeranno brevemente di seguito i fatti relativi alla controversia di cui al procedimento (C – 507/17) tra Google LLC e la Commissione nazionale per l’informatica e le libertà (CNIL) della Francia.

La vertenza era relativa ad una questione tra Google LLC e la CNIL avente ad oggetto una sanzione di 100.000 € irrogata da quest’ultima con delibera del 10 marzo 2016 contro Google per via del rifiuto nel volere rimuovere i contenuti di una pagina sui risultati del famoso motore di ricerca.

Google, rifiutandosi di cancellare del tutto i contenuti, ha eliminato unicamente i collegamenti in questione solo sulle versioni del motore di ricerca all’interno degli Stati membri dell’U.E.

La CNIL non ha considerato opportuno soltanto il processo di “geoblocking” volto al blocco di accesso da un indirizzo IP localizzato nello Stato di residenza della persona in questione.

Google, dunque, ha impugnato il provvedimento, affermando che la sanzione controversa si poneva alla base di un’interpretazione non corretta delle disposizioni di legge, dal momento che il diritto all’oblio non comportava obbligatoriamente la cancellazione senza una delimitazione geografica.

La Corte di Giustizia, in via preliminare, premetteva che l’operatore di un motore di ricerca deve necessariamente eliminare dall’elenco dei risultati, i collegamenti a pagine Web, pubblicati da terzi e contenenti informazioni relative a tale persona.

L’interessato ha il diritto di sapere che le informazioni in questione non siano più pubbliche e disponibili alla luce della sua inclusione nell’elenco di risultati.

Questi diritti prevalgono, in linea di principio, non solo sull’interesse economico dell’operatore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse di questo pubblico ad accedere a tali informazioni durante una ricerca sul nome di questa persona.

Tale tutela si è definita nell’articolo 17 del Regolamento n. 2016/679 a mente del quale l’interessato ha diritto a pretendere il “diritto alla cancellazione” o comunemente detto “diritto all’oblio” dei dati a lui relativi.

La Corte affermava altresì che il diritto alla protezione dei dati personali non è un diritto assoluto, ma deve essere considerato in relazione alla sua funzione nella società e ponderato con altri diritti fondamentali, conformemente al principio di proporzionalità.

Sussiste altresì il concetto di bilanciamento tra il diritto al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali, da un lato, e la libertà di informazione degli utenti di Internet, dall’altro, è suscettibile di variazioni in ogni territorio nel mondo.

Dunque, le disposizioni contenute nell’articolo 17 non presentano elementi tali da consentire la verifica del bilanciamento di interessi oltre i confini dell’Unione.

La controversia dunque era inerente all’estensione territoriale del diritto all’oblio: così come il CNIL chiedeva a Google una rimozione generale delle url dall’indice, così che a livello globale alcune pagine non potessero più essere raggiunte, Google chiedeva per contro che il diritto finisse al confine e che quest’ultimo fosse considerato a partire dal dominio del motore (google.it per l’Italia, google.fr per la Francia, eccetera). La sanzione del CNIL a Google, ed il successivo ricorso dell’azienda di Mountain View, ha generato il casus belli giunto alla Corte di Giustizia Europea.

Il diritto all’oblio potrebbe assumere una differente connotazione e il limite territoriale non sarebbe più legato alla localizzazione del motore, ma alla geolocalizzazione dell’utente.

In questo modo l’Europa non avrà da pretendere l’estensione globale di un diritto che ha espressione legislativa continentale, ma al contempo gli effetti pratici del diritto all’oblio saranno garantiti.

Google non avrà il dovere di cancellare dall’indice tali pagine sui motori extra-europei dal momento che fuori dall’UE il diritto all’oblio verrebbe a perdere la sua funzione, considerando infine il fatto che: “il diritto dell’Unione, pur non imponendo, allo stato attuale, che la deindicizzazione verta su tutte le versioni del motore di ricerca, neppure lo vieta. Pertanto, le autorità degli Stati membri restano competenti ad effettuare, conformemente agli standard nazionali di protezione dei diritti fondamentali, un bilanciamento tra, da un lato, il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei suoi dati personali e, dall’altro, il diritto alla libertà d’informazione e, al termine di tale bilanciamento, a richiedere, se del caso, che il gestore di tale motore di ricerca effettui una deindicizzazione su tutte le versioni di suddetto motore.